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Narrativa. Premio Strega a Cognetti: le sue «otto montagne» di padri e figli

Paolo Cognetti ha vinto il Premio Strega 2017 con il romanzo 'Le otto montagne' (Einaudi). Il voto della giuria ha incoronato Cognetti con 208 voti su 532. Seguono Teresa Ciabatti con 'La più amata' (Mondadori), 119 voti; Wanda Marasco con 'La compagnia delle anime finte' (Neri Pozza), 87 voti; Alberto Rollo con 'Un'educazione milanese (Manni), 52 voti; e Matteo Nucci, con 'È giusto obbedire alla notte' (Ponte alle Grazie), 79 voti. Al vincitore della LXXI edizione del premio promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Strega Alberti Benevento è andato anche il Premio Strega Giovani.
La recensione di Fulvio Panzeri (Avvenire, 30 dicembre 2016)
A breve distanza dalla sua uscita in libreria il primo romanzo di Paolo Cognetti, scrittore che fino ad ora aveva privilegiato la forma del racconto, è diventato un caso letterario, anche tra i lettori, un successo anticipato dall'interesse che il libro aveva suscitato alla 
Fiera di Francoforte, tanto da essere già in traduzione in trenta Paesi.
Va detto che "Le otto montagne" è decisamente un romanzo importante, uno dei migliori del 2016 per quanto riguarda la narrativa italiana e conferma un dato significativo, quello del consolidamento di quella nuova generazione di scrittori, nata tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, che ha trovato una propria dimensione espressiva, proprio nel ritorno all'autenticità di un sentire narrativo che lascia da parte mode e sperimentalismi, per puntare l'attenzione sull'umano, su una profondità nell'indagine dei rapporti personali e sul mettere in scena uno smarrimento che è quello vissuto in questi anni di precarietà, non solo esistenziale. 

Cognetti dimostra come una storia anche personale possa diventare emblematica, uscendo dall'ambito strettamente autobiografico per imporsi come riflessione sul valore dei luoghi e dei rapporti. Infatti nel romanzo prevalgono, con la stessa valenza, il paesaggio e le persone. A raccontare la storia è un figlio, Pietro, nato da genitori veneti che hanno lasciato la loro terra 
e un'identità di montagna di natura dolomitica, per trasferirsi a Milano, agli inizi degli anni Settanta. Nella Milano delle grandi arterie stradali, percorse da fiumi di veicoli, lo spazio dell'orizzonte che inquadra una montagna lontana, la Grigna, fa ritornare il desiderio di vivere ancora in quella dimensione, anche solo in un periodo dell'anno. Ecco allora la scoperta del Monte Rosa, del paesino di Grana. Per ognuno quel luogo diventa una forma di redenzione esistenziale: per la madre che ritrova una sua forma di felicità; per il padre che ostinatamente prosegue il suo sogno di ritrovare in ogni ghiacciaio «la neve degli inverni lontani»; per il figlio, taciturno, riflessivo, un po' indifeso, ma con una sensibilità capace di capire gli altri, di iniziare un percorso di crescita attraverso l'amicizia con Bruno, un ragazzo "selvatico", molto diverso da lui, con il quale si instaura un rapporto di grande complicità.
Sarà il padre, quando il rapporto con il figlio adolescente porta al silenzio tra loro, a mantenere segretamente il filo di quel legame, portando il lettore direttamente al centro della storia, dopo un salto temporale in cui vale di più la reticenza del narratore, che il racconto della crisi. La morte prematura del genitore, a poco più di sessant'anni, e la scoperta che il padre ha lasciato a Pietro 
un terreno tra i boschi e il lago, con un rudere, ricostituisce l'unità.
Cognetti fa dire al suo protagonista, che nel frattempo si è trasferito a Torino, vive in un monolocale e si occupa di documentari: «Sapevo una volta per tutte di aver avuto due padri: il primo era l'estraneo con cui avevo abitato per vent'anni in città, e tagliato i ponti per altri dieci; il secondo era il padre di montagna, quello che avevo solo intravisto eppure conosciuto meglio, l'uomo che mi camminava alle spalle sui sentieri, l'amante dei ghiacciai. Quest'altro padre mi aveva lasciato un rudere da ricostruire. Allora decisi di dimenticare il primo, e fare il lavoro per ricordare lui».

Bruno sa tutto di quelli che erano i progetti del padre che sembra riconsegnargli anche il senso più profondo di una grande amicizia, da rendere ancora più solida, grazie a quella casa d'alta montagna, a ridosso della roccia, che ha pensato per il figlio. Bruno e Pietro lavorano insieme alla casa per tutta un'estate e Pietro decide che la potrà usare anche l'amico, quando vorrà. Il tempo dell'intesa ha poche parole in questo romanzo, ma gesti concreti, solitudini da condividere, una bellezza del paesaggio vissuta in tutta la sua pienezza, nei fragori e negli istanti di calma, nei passaggi stagionali.
Ognuno dei due, Pietro e Bruno, sembra prendere forza dall'altro, ognuno è consapevole del fatto che potrà ritrovarsi sempre in quella dimensione sacra che il luogo della casa rappresenta, anche nel suo valore simbolico di riconciliazione. Ognuno dei due cercherà di portare a compimento i propri progetti: quello di un'azienda agricola per Bruno, ma anche una compagna e una figlia; un viaggio in Nepal per Pietro. Il legame è forte, ma la distanza non può essere un ostacolo. Quando il sogno di Bruno crolla, Pietro 
sarà lì, con la sua presenza.
Le otto montagne è un romanzo in cui si respira il senso fermo del sacro e della solitudine come pienezza. Del resto Cognetti, parlando degli eremiti del XXI secolo sulla rivista Vita e Pensiero, scrive che «l'eremita è un esploratore. Per quanto mi riguarda, 
la scrittura è allo stesso tempo il mezzo e il fine di questa esplorazione: è il mio modo di pensare, quando sono da solo, e insieme la traccia che ne rimane, o il regalo che la solitudine mi fa quando decide di essere generosa con me».

Paolo Cognetti
Le otto montagne
Einaudi. Pagine 204
Euro 18,50
da Avvenire

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