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Catacombe Domitilla 'nuove', con laser


ROMA - Ha il capo reclinato quasi a dire con stupore "addio" alla vita, Pentesilea, trafitta dalla lancia di Achille, rappresentata nel sarcofago attico del nuovo museo allestito all'ingresso delle catacombe di Domitilla.
    Il museo nuovo, - si sente ancora l'odore di colla quando viene aperto per l'anteprima ai giornalisti, mentre i restauratori nel non lontano "cubicolo dei fornai" hanno completato il lavoro circa 18 ore prima - espone quasi di fronte a Pentesilea il compianto di Achille per la morte dell'amico Patroclo. L'inaugurazione del museo e il restauro di diverse pitture delle catacombe avvengono a 25 anni dalla istituzione della Pontificia commissione di archeologia sacra, i cui vertici - il presidente e il segretario, card. Gianfranco Ravasi e mons.
    Giovanni Carrù, con il sovrintendente Fabrizio Bisconti, le ispettrici Raffaella Giuliani e Barbara Mazzei, - hanno offerto per l'occasione, alla stampa e agli studiosi, una conferenza, ma soprattutto un pomeriggio di bellezza. Il complesso, esteso su circa 10 ettari non lontano dalle fosse Ardeatine, comprende oltre 12 km di gallerie sotterranee, 228 cubicoli, 650 arcosoli, 26 scale, 39 lucernari, 28 ritratti di defunti, decine di affreschi, si struttura o a due o a quattro piani, e custodisce 26.250 tombe di adulti e bambini, anche neonati. Le catacombe prendono il nome da Flavia Domitilla; secondo gli studiosi le Flavia Domitilla potrebbero esser due, entrambe condannate all'esilio, una a Ponza e una a Ventotene, ma l'una per motivi politici, l'altra per motivi religiosi. Almeno una delle due, mostrerebbe l'adesione di un ramo della potente famiglia dei Flavi al cristianesimo, e la conseguente persecuzione. Le catacombe nascono come ipogeo pagano e, dopo il martirio di Nereo e Achilleo che vi vengono sepolti, attraggono le prime sepolture cristiane. Questa la storia delle persone, non meno avvincente quella degli scavi nel corso dei secoli, e della conservazione e manutenzione, fino ai giorni nostri. Scoperte alla fine del '500 da Antonio Bosio, "una specie di Cristoforo Colombo delle catacombe" secondo gli archeologi, sono state studiate a metà Ottocento da Giovanni Battista de Rossi. Bosio ha manifestato il proprio entusiasmo anche scrivendo il proprio cognome in stampatello su una delle lunette del "cubicolo dei fornai", restaurato con tecniche laser, mentre per le altre pitture ripulite, tra cui l'arcosolio di Petronilla, si sono adoperate le tecniche tradizionali di pulitura. Soprattutto, ma non solo, dal "cubicolo dei fornai", - completamente nero prima del restauro - emerge la storia di questo pezzo di Roma sotterranea, prima pagana e poi cristiana, ma anche delle tecniche e dei vizi degli scopritori: si trovano spesso strappi negli intonaci, operati da chi si portava a casa disegni e pitture, e sono state riportate alla luce le tantissime firme di visitatori.
    Conservare e identificare le firme è stata una impresa: sono fatte in genere col nero fumo e per questo vengono via molto facilmente. Come non ci sarebbe epigrafia né classica né cristiana neppure ci sarebbe la storia degli scavi e delle catacombe, senza il desiderio di tanti di strappare almeno il proprio nome all'oblio della morte. Come ha ricordato il card.
    Ravasi citando Rilke, "la morte è l'altra faccia della vita".
    Nelle catacombe di Domitilla, - tra pitture, sepolture, intonaci, firme, colori e forme tornate alla luce, muffe da combattere e marmi da proteggere, - morte e vita continuano a giocare una partita che val la pena andare a vedere di persona.
ansa.it