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Secondo i dati Enit, ci sono stati quest'anno 57 milioni di turisti in meno con una perdita di 71 miliardi di eur

Il Giornale

La serrata anti contagio non concede tregua al commercio al dettaglio. I negozi tradizionali, stando ai dati di ottobre diffusi dall'Istat, - commenta l'Ufficio economico Confesercenti - rischiano di non sopravvivere alla crisi pandemica.

La seconda ondata del virus e il conseguente ritorno alle misure di contenimento hanno polverizzato il debole recupero degli introiti registrato durante il periodo estivo.

E dopo il calo del -1,8% delle vendite già subito a settembre, anche ad ottobre il trend non cambia. I negozi registrano ancora una performance negativa, con un arretramento del -3,2%. Tra i settori più colpiti del commercio al dettaglio spiccano il comparto dell’abbigliamento e delle calzature, con un terzo delle vendite bruciate nel 2020. L'unico a salvarsi dal collasso generalizzato dei profitti è il commercio elettronico, che con un nuovo balzo del +54.6% supera l’incremento di maggio e giugno, segnando il record di crescita. Resiste anche la Grande distribuzione non alimentare che fa registrare un +1.4%.

A peggiorare il quadro disastroso emerso dai dati dell'Istat contribuiscono le restrizioni di attività e spostamenti previste per il Natale, impattando ulteriormente su una già stremata filera turistica. È il caso della Lombardia che, rientrata in zona gialla da domenica 13 settembre, non farà nemmeno in tempo ad approfittare del lieve allentamento delle misure anti contagio. I provvedimenti restrittivi sugli spostamenti tra Regioni previsti dal Dpcm, che entrerà in vigore il 21 dicembre, si tradurranno, infatti, in un ulteriore colpo al turismo, scoraggiando le prenotazioni e la possibilità per le strutture alberghiere di accogliere gli ospiti. Con una perdita stimata da Confcommercio a 10,3 milioni di turisti. "Sopra ogni prodotto, mancando i viaggi all'estero, Fiavet-Confcommercio sente come decisiva l'assenza delle crociere, l'ultimo baluardo di sicurezza che era rimasto per viaggiare, in cui confidavamo per Natale e Capodanno", ha dichiarato Ivana Jelinic, presidente Fiavet-Confcommercio. Secondo i dati Enit, ci sono stati quest'anno 57 milioni di turisti in meno con una perdita di 71 miliardi di euro: si perde nel nostro Pil nazionale il 5,8 per cento in un settore che pesava circa il 13 per cento sull'economia italiana, e chiuderemo quindi con un turismo al 7,2 per cento nel nostro Pil.

Penalizzato anche il compartimento giostre-intrattenimento che data l'impossibilità di lavorare nel periodo di Natale perde circa il 70% dell'indotto tutto l’anno. Non solo. A fronte di mancati ricavi di circa euro 400.000 sono arrivati ristori per soli 10.000 euro. Uno scenario che lascia poco spazio alla speranza di una ripresa. “Senza misure correttive, a partire da quella per riequilibrare la concorrenza tra piattaforme online e negozi fisici, ma anche per istituire una fiscalità di vantaggio per le imprese più colpite, si rischia di desertificazione le città, con migliaia di attività che chiuderanno per sempre i battenti e con loro numerose famiglie senza lavoro”, sentenzia Andrea Painini Presidente di Confesercenti Milano.


Enit / Il turismo è una voce economica fondamentale per il nostro Paese: quasi il 13% del Pil e 4,2 milioni di occupati

Dai turisti 40 miliardi di euro
L’Italia continua a piacere. Soprattutto agli stranieri. Aumentano i turisti – che sostengono una delle voci economiche più importanti del nostro Paese – e il presidente dell’Enit-Agenzia nazionale turismo, Giorgio Palmucci, alla presentazione del piano annuale fa il punto sulle diverse nazionalità dei viaggiatori. «Tra i turisti che visitano di più l’Italia – spiega – ci sono come al solito quelli dei Paesi di lingua tedesca: Germania, Austria e Svizzera che rappresentano il 25% dei turisti internazionali. Ma è salito ancora il numero dei turisti dalla Russia, dagli Usa, dal Canada e dalla Cina. Nel 2020 ci aspettiamo una crescita ancora maggiore di questi ultimi, dato che è l’anno della cultura Italia- Cina e grazie anche all’aumento dei voli che è stato annunciato tra i nostri Paesi. Inoltre vi annuncio anche l’apertura di tre nuove sedi Enit: a Guangzhou (in Cina appunto), a Miami e ovviamente a Dubai in vista del Expo 2020».

Stando all’Ufficio Studi Enit, sono oltre 360 milioni le notti trascorse nella Penisola fino a ottobre 2019 (+4,4%) e che hanno apportato introiti per circa 40 miliardi di euro. Il nostro Paese ha attratto ben tre milioni di partecipanti a eventi organizzati e sponsorizzati nel mondo del lusso. Quasi 32 milioni di occasioni di visibilità del Bel Paese attraverso azioni di comunicazione pubblicitaria mirate e azioni di co-marketing. Il piano 2020 di Enit propone l’Italia della sostenibilità, a misura dei nuovi mercati e dei nuovi segmenti. Nel 2020 Enit celebrerà il suo centenario e cercherà anche di far scoprire le destinazioni meno co- nosciute, tanto al turismo straniero quanto a quello nostrano. In Italia, infatti, abbiamo 55 siti Unesco e più del 60% sono in comuni che hanno meno di 5mila abitanti. Sono 480 le iniziative già previste quest’anno dalle sedi estere di Enit, di cui circa il 20% orientate anche alla valorizzazione del turismo congressuale. Enit ha destinato il 22,7% alle iniziative sui nuovi target del lusso. Si punta anche al turismo slow a cui sarà riservato il 34,8% delle azioni e al turismo active con il 26,7%. Oltre 40 le fiere in programma accompagnate da specifici workshop per operatori del settore. Tra gli eventi e le celebrazioni in cantiere da segnalare, oltre al centenario dell’Enit: le celebrazioni degli anniversari di Raffaello, Federico Fellini e Pellegrino Artusi, il Festival dei borghi. I mercati in rapida crescita come l’Asia e in particolare la Cina, con i nuovi target giovani ad alta capacità di spesa, sono al centro delle nuove campagne per un turismo capace di spendere durante tutto l’anno.

«Abbiamo voluto imprimere una nuova centralità al turismo italiano, che rappresenta un asset economico di primaria importanza per il nostro Paese, un’industria fondamentale. Infatti, secondo le stime di Banca d’Italia e secondo i dati di Eurostat, parliamo di quasi il 13% del Pil e di 4,2 milioni di occupati, che fanno dell’Italia il leader in Europa per occupati in questo settore», ha detto la sottosegretaria del Mibact, Lorenza Bonaccorsi. «Anche i primi dati sul saldo dei flussi turistici nel 2019 – ha aggiunto Bonaccorsi – descrivono un anno molto favorevole per il turismo italiano con una crescita della spesa del turismo internazionale del 6,6% e un aumento dei pernottamenti del +4,4%. Un incremento rilevato anche dai dati sugli arrivi aeroportuali che chiudono i primi 11 mesi 2019 con un +4% di passeggeri totali, che sale a +5,8% su quelli internazionali».
da Avvenire
segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone

Economia a turismo, all’Ateneo debutta il corso di laurea. È il primo in Italia

VERCELLI
Diciannove lauree triennali, 12 magistrali più quattro a ciclo unico nelle città di Vercelli, Novara e Alessandria. E’ l’offerta formativa dell’Università del Piemonte orientale che ha aperto le immatricolazioni e le iscrizioni per l’anno accademico 2014-2015, che porterà a Vercelli tre nuovi corsi: Scienze biologiche, Informatica e Lingue, culture e turismo, il primo in Italia che fa incontrare l’economia e i flussi turistici. 
Sono aperte da lunedì le immatricolazioni e le iscrizioni ai corsi di laurea triennale ad accesso libero, che termineranno il 3 ottobre, mentre per i corsi di laurea magistrale e magistrale a ciclo unico (ad accesso libero) c’è tempo fino al 31 dicembre; anche per queste lauree, però, resta valida la scadenza del 3 ottobre per le iscrizioni agli anni successivi. 
Il nuovo anno accademico porterà alcune novità. A Vercelli arriverà il primo corso in Italia in Lingue, culture e turismo, nato da una partnership tra il Dipartimento di Studi umanistici e il Dipartimento di Studi per l’economia e l’impresa. Si tratta di una laurea magistrale, che combina lo studio delle lingue e delle culture straniere con quello delle discipline relative alla programmazione e alla gestione dei sistemi turistici. Il Dipartimento di Scienze e innovazione tecnologica di Alessandria, inoltre, sdoppierà la sede di due corsi di laurea triennali: Scienze biologiche e Informatica, che saranno proposti anche a Vercelli. Alla Scuola di Medicina di Novara debutta invece il corso magistrale in Medical biotechnology, che verrà impartito interamente in lingua inglese. 
Nel capoluogo eusebiano saranno quindi attivate le lauree triennali di Filosofia e comunicazione, Lettere, Lingue straniere moderne, Informatica, Scienze biologiche e Scienza dei materiali (chimica); saranno tre, invece, le lauree magistrali: Filologia moderna, classica e comparata; Filosofia; Lingue, cultura, turismo. 
lastampa.it

Il declino globale della fauna selvatica favorisce schiavitù, guerre e criminalità organizzata

di Umberto Mazzantini  - greenreport

Se la politica sapesse ancora fare delle buone analisi e sapesse mediare tra gli economisti e gli scienziati, capirebbe molto meglio perché questo modello di sviluppo è arrivato al limite e qual è la reale crisi in corso. Di certo non più finanziaria, visto che Wall Strett è ai massimi e pure la nostra borsa non se la cava male, mentre è ancora sociale – posti di lavoro ridotti al lumicino e disoccupazione in inesorabile avanzata – e soprattutto ambientale. Non solo, proprio la cattiva gestione delle “risorse scarse” alias materie prime causa i peggiori guai mondiali. E non lo dice il wwf o Legambiente, ma – ecco il perché della nota polemica iniziale – il numero speciale “Vanishing fauna” di Science che ospita lo studio “Wildlife decline and social conflict” nel quale un team di ricercatori statunitensi delle università di Berkly e Santa Barbara e della Wildlife Conservation Society dicono che «Il declino globale delle popolazioni di fauna selvatica sta provocando l’aumento di conflitti violenti, della criminalità organizzata e del lavoro minorile in tutto il mondo». I ricercatori partono dalla recente istituzione da parte del Presidente Usa Barack Obama di una task force inter-agenzie sul traffico di fauna selvatica e scrivono che «Riflette la crescente consapevolezza politica dei legami tra conservazione della fauna selvatica e sicurezza nazionale. Tuttavia questa ed analoghe iniziative in Europa ed Asia che promuovono la “guerra ai bracconieri” aprono solo una finestra sulla complessità ecologica, sociale ed economica dei conflitti collegati alla fauna selvatica. E’ essenziale l’input di diverse discipline per formulare politiche che affrontino i drivers del declino della fauna selvatica ed i contesti dai quali si infiammano i conflitti associati infiammano. Gli autori chiedono ai biologi di unire le loro forze con esperti come economisti, politologi, criminologi, funzionari della sanità pubblica e specialisti dello sviluppo internazionale per affrontare insieme questa sfida complessa. Il documento appena pubblicato su Science, mette in evidenza come il calo del cibo e dell’occupazione provenienti dalla caccia alla fauna selvatica stia causando sia l’aumento del traffico di esseri umani e di altri reati che favorendo l’instabilità politica. Secondo il principale autore, Justin Brashares del Department of environmental science, policy, and management dell’università di California Berkeley, «Questa pubblicazione riconosce il declino della fauna selvatica come fonte di conflitto sociale piuttosto che sintomo. Miliardi di persone si affidano direttamente e indirettamente a fonti di carne selvatiche di carne per il loro reddito e sostentamento e questa risorsa è in declino. Non è sorprendente che la perdita di questo pezzo essenziale dei mezzi di sussistenza dell’uomo abbia enormi conseguenze sociali. Eppure, sia la conservazione e la scienza politica hanno generalmente trascurato queste fondamentali connessioni». Meno animali da cacciare e meno pesci da pescare richiedono uno sforzo sempre maggiore sforzo per catturarli. I lavoratori necessari, molti dei quali sono bambini, sono spesso venduti ai pescherecci e costretti a lavorare in mare, per anni senza paga, 18-20 ore al giorno. Brashares spiega il primitivo meccanismo capitalistico che sta dietro questa tragedia umana ed ambientale: «Le famiglie impoverite contano su queste risorse per il proprio sostentamento, per cui non possiamo applicare modelli economici che prescrivono aumenti dei prezzi o di riduzione della domanda, dato che le forniture stanno diventando scarse. Invece, dato che è necessario più lavoro per catturare animali selvatici e pesci scarsi, i cacciatori e i pescatori usano i bambini come fonte di manodopera a basso costo. Centinaia di migliaia di famiglie povere vendono i loro figli per mandarli a lavorare in condizioni difficili». Nel caso in cui un governo non ha la volontà o la capacità di proteggere le risorse naturali, possono sorgere dei movimenti di vigilantes. Gli autori collegano l’aumento della pirateria marittima e della violenza in Somalia alle battaglie sulla difesa dei diritti di pesca esclusivi e sottolineano che quello che era iniziato come un tentativo di respingere le imbarcazioni straniere della pesca a strascico illegale nelle acque somale si è trasformato in “hijacking fishing”, e quindi in non-pesca, co il dirottamento delle navi a scopo di estorsione. Brashares aggiunge che «Sorprendentemente poche persone riconoscono che la competizione per gli stock ittici ha portato alla nascita della pirateria somala. Per i pescatori somali, e per centinaia di milioni di altri, i pesci e la fauna selvatica sono la loro unica fonte di sostentamento, così quando sono stati minacciati dalle flotte di pesca internazionali, hanno preso misure drastiche». Gli autori hanno anche confrontato la fauna selvatica bracconaggio con il commercio di droga, notando che enormi profitti dal traffico merci di lusso prodotte con la fauna selvatica, come le zanne di elefante ed i corni di rinoceronte, hanno attirato gruppi di guerriglieri ed organizzazioni criminali di tutto il mondo. E fanno notare che alcuni dei gruppi armati più noti dell’Africa, come la Lord’s Resistance Army che opera tra Congo Rdc, Uganda e Repubblica Centrafricana, al-Shabab in Somalia, i Janjaweed in Sudan/Darfur e Boko Haram in Nigeria, sono noti per utilizzare il bracconaggio per finanziare attacchi terroristici. Meredith Gore, che insegna conservation criminology alla Michigan State University, non ha partecipato allo studio dice che «Questo documento inizia a toccare la punta di un iceberg di problemi sul declino della fauna selvatica e, in tal modo, gli autori offrono una prospettiva provocatoria e completamente necessaria circa la natura olistica delle cause e delle conseguenze del declino della fauna selvatica» Come potenziali modelli di questo approccio integrato, gli autori indicano le organizzazioni e le iniziative nel campo del cambiamento climatico, come l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) e l’United for wildlife collaboration, ma lo studio sottolinea che «Questi sforzi globali devono essere accompagnati da approcci più fronti che affrontino il declino della fauna selvatica a livello locale e regionale». La Gore crede che «La parte più importante da questo articolo, è che abbiamo bisogno di capire meglio da una prospettiva locale i fattori che sono alla base dei cali di pesce e della fauna selvatica e che gli approcci interdisciplinari sono probabilmente la migliore opzione per facilitare questa comprensione». Chris Golden, direttore dei programmi della Wildlife Conservation Society fas notare che «L’Insostenibile sfruttamento antropico delle popolazioni di fauna selvatica non ha solo singoli effetti sull’integrità ecologica, ma ha conseguenze di ampia portata che portano all’instabilità per la nostra salute, per i mezzi di sussistenza e la sicurezza nazionale». I ricercatori fanno anche esempi di governi locali che hanno superato momenti di tensione sociale con iniziative mirate, come il caso della concessione di diritti esclusivi per caccia e pesca alle comunità locali nelle Figi ed il controllo delle management zones in Namibia per ridurre il bracconaggio e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali. Uno degli autori, Douglas McCauley, del Department of ecology, evolution, and marine biology dell’università di California Santa Barbara, conclude: «Questo rende becessaria una revisione del perché dovremmo conservare la fauna selvatica ed aiuta a rendere più chiaro quale sia la posta in gioco in questo gioco. Essenzialmente, le perdite di fauna selvatica tirano via il tappeto da sotto le società che dipendono da queste risorse. Non stiamo solo perdendo specie. Stiamo perdendo figli, frantumando le comunità e favorendo la criminalità. Questo rende la salvaguardia della fauna selvatica un lavoro più importante di quanto non sia mai stato».