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Ululati sulle Alpi, il Lupo è tornato

L’ultimo avvistamento, all’inizio di aprile, è stato di un pastore a Campea, frazione del Comune di Miane in provincia di Treviso. Negli stessi giorni altri esemplari sono stati avvistati in Valbormida, sull’Appennino Savonese, in Liguria. E questi sono soltanto gli ultimi episodi di un fenomeno che, per gli esperti che lo stanno studiando da tempo, è in fase di consolidamento ed espansione. Insomma, non ci sono più dubbi: il lupo è ritornato in pianta stabile sulle Alpi, mentre dall’Appennino non se n’era mai andato. Il più recente censimento dei capi (il primo in assoluto a livello alpino), effettuato nell’inverno 2014-2015 nell’ambito del progetto Life Wolfalps – piano da sei milioni di euro, cofinanziato dall’Unione Europea – ha evidenziato che sulle Alpi vivono stabilmente 23 branchi per circa 150 esemplari complessivamente.

Nelle sole valli del Piemonte è stata stimata la presenza di 21 branchi e quattro coppie riproduttive, mentre un branco e una coppia sono stati avvistati in Valle d’Aosta e un altro branco si aggira in Lessinia, tra le province di Verona e Trento. Un’altra coppia vive in Friuli, tre individui solitari sono stabili nell’area tra Trentino, Alto Adige e Lombardia, dove sono stati effettuati anche avvistamenti sporadici. Comprendendo anche l’Appennino, al 2014 era stata verificata dal Congresso italiano di Teriologia (la parte della zoologia che studia la biologia dei mammi-feri) una presenza di 773 individui in 20 aree analizzate, mentre la presenza stimata si avvicinava ai 1.900 lupi sull’intero territorio nazionale. 

Come ricorda l’antropologo Annibale Salsa, già presidente nazionale del Club alpino italiano, il ritorno del lupo sulle Alpi avviene a circa novant’anni dalla sua scomparsa. L’ultimo esemplare, infatti, era stato abbattuto nel 1925 in Val Corsaglia, nel territorio delle Alpi Liguri-Piemontesi. «Sulle Alpi – scrive Salsa sul portale dell’Accademia della montagna del Trentino – il controllo del territorio risulta più capillare rispetto a quello dell’Appennino, dove invece prevale l’insediamento accorpato che favorisce la presenza di vasti spazi selvatici. Ciò spiega la ragione per cui, lungo la dorsale appenninica, il lupo non si è mai estinto e ha continuato a scorrazzare dalla Calabria fino al crinale tosco-emilianoromagnolo come massima espansione verso Nord». Più su il lupo non si spingeva, perché, sottolinea Salsa, «fino agli anni Cinquanta del Novecento le Alpi erano intensamente abitate». 

È con lo spopolamento delle “terre alte”, a partire dal boom economico degli anni Sessanta, quando la gran parte della popolazione contadina si è riversata nelle città per cercare lavoro nelle fabbriche, che si ricreano le condizioni per la vita del lupo sulle Alpi. Oltre allo spopolamento, un secondo fattore determinante, ricorda l’antropologo genovese, sono state le «politiche di ripopolamento delle aree protette mediante immissioni di ungulati, che hanno consentito ai lupi di superare la barriera bioecologica degli Appennini». Il ritorno del lupo ha però provocato importanti problemi di convivenza con l’uomo e le sue attività in montagna, soprattutto legate alla pastorizia e all’allevamento del bestiame. 

Predazioni sempre più frequenti hanno causato ingenti danni economici e anche la legittima preoccupazione delle popolazioni. L’ultimo episodio riportato dalle cronache è avvenuto a metà aprile a Roccalbegna, in provincia di Grosseto, dove un branco di quattro lupi ha attaccato un gregge, custodito da una donna pastore che non ha potuto fare altro se non assistere impotente all’uccisione di alcuni capi. «Due di loro correvano a monte e uno aveva in bocca una pecora – ha raccontato la donna –. Un altro correva dietro a un’altra pecora. Mi sono messa a urlare forte, ma nessuno mi sentiva». Ancora più duro il commento di Mariano Allocco di Prazzo in Valle Maira (Cuneo), allevatore di cavalli e contadino, oltre che restauratore di vecchi ruderi e scrittore. «La questione del lupo attiene alla libertà dell’uomo», dice Mariano, che si oppone alla «visione romantica» del lupo e per questo ha riunito pastori e allevatori e abitanti della Valle in un’associazione per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi causati dal ritorno del grande predatore. 

Così scrive Allocco: «Parliamoci chiaro: la presunzione della convivenza possibile tra predatore e animali in alpeggio è un assunto ideologico. In Val Maira l’alpeggio ovino ha chiuso e tra breve andrà ridiscusso quello brado di bovini ed equini e l’alpeggio così come lo si è gestito per secoli non sarà più possibile». Certamente, la soluzione non può essere la caccia indiscriminata, il bracconaggio o, peggio, la dispersione di bocconi avvelenati, che risultano mortali non soltanto per il lupo, ma per tutta la fauna selvatica della montagna e pericolosi anche per l’uomo. 

A questo riguardo, il progetto Life Wolfalps prevede «il monitoraggio della popolazione di lupo dell’arco alpino e l’attivazione di misure di prevenzione degli attacchi sugli animali domestici». Inoltre, sono previste azioni specifiche per contrastare il bracconaggio e strategie di controllo dell’interazione tra lupo e cane. Anche il Wwf ha raccolto oltre 140mila firme a sostegno di una petizione per vietare gli abbattimenti autorizzati, previsti invece dal nuovo Piano per la conservazione e gestione del lupo in Italia, del ministero dell’Ambiente, che ne consente fino a sessanta all’anno. «La sfida di oggi – conclude Salsa – consiste nel capire se il modello gestionale futuro dell’ambiente montano debba ispirarsi alla scelta bipolare “et-et” (convivenza possibile uomo-predatore) o a quella “aut-aut” (o l’uomo o il predatore). Mettiamoci quindi al lavoro con buon senso, abbandonando le tifoserie opposte, per guardare in faccia alla realtà».
Avvenire
segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone